sabato 25 aprile 2009

L'altrà metà del cielo ... tra deficit democratico e oligarchia femminile



Storicamente, il primo elemento di distinzione tra i contenitori di senso “uomo” e “donna” è stato lo specifico “RUOLO” loro assegnato, poi di fatto da essi ricoperto.
Per un dato naturale, la donna è mamma: genera vita, allatta e alleva i suoi figli, provvede alla loro educazione, organizza il benessere familiare e tiene in ordine l’habitat domestico, la sfera privata entro cui ella domina, ma oltre la quale non può esprimersi.
Per un dato naturale, all’uomo viene attribuito il ruolo di responsabile del benessere materiale ed economico della propria famiglia, nonché dello sviluppo sociale, economico e culturale della collettività in cui egli opera; la sfera pubblica, la piazza, diviene così il luogo in cui gli uomini interagiscono, discutono ed elaborano le decisioni; il luogo della politica è pertanto inaccessibile alle donne.
Questa distinzione, apparentemente naturale, esprime una diversità qualitativa di genere, più che una differenza; esprime il modo di essere della donna e dell’uomo nella famiglia, nella società, il loro diverso modo di parlare, di esporsi, di comportarsi, fino a divenire culturale connotato di distinzione tra i due.
Attraverso la costante pressione psicologica della generalità dei consociati, indotta dalla costante percezione e convinzione di tale differenza (intesa non in senso qualitativo, bensì quantitativo) tra le donne (più deboli) e gli uomini (più forti), si è creato lo stereotipo e, conseguentemente, la discriminazione di genere.
Nell’immaginario collettivo si è talmente radicata l’idea della innata differenza discriminante tra i due generi che la profezia si è auto-avverata.
Descrivere le drammatiche limitazioni e gli abusi, e le violenze, perpetrate in danno delle donne dall’altra metà del cielo sarebbe difficile, per la vastità di fonti documentali cui attingere, ma altresì riduttivo.
Tanta strada abbiamo fatto finora, è vero, ma tantissima ne resta ancora da fare, per “superarci”!
Ebbene si! Nonostante i grandi processi di trasformazione storica, di emancipazione socio-economica e culturale, che hanno vivacizzato il sistema mondiale ed europeo nell’ultimo cinquantennio, l’Italia resta indietro su molte, troppe questioni, tra cui quella relativa ad una più compiuta e sostanziale applicazione dei principi sanciti in primis dall’Unione Europea, in tema di Pari Opportunità, nonostante il proliferare massiccio della normativa italiana in merito.
Ne costituisce una triste conferma la quinta Relazione annuale della Commissione delle Comunità Europee su “La parità tra le donne e gli uomini”, alla data del 23 gennaio 2008, da cui si evince che, pur costituendo -la parità e la pari opportunità- valori fondamentali dell’Unione Europea, che ha seguito un duplice approccio al tema, dalla Conferenza di Pechino del 1995 a seguire, associando “azioni positive” specifiche di “empowerment” e “gender mainstreaming”, non hanno ancora raggiunto adeguati livelli qualitativi nella loro applicazione pratica.
Ben vero, la quota di donne che lavorano è sì cresciuta incessantemente in Europa negli ultimi anni, e il livello d'istruzione femminile è oggi superiore a quello degli uomini. Ciò nonostante, la maggior parte delle donne sono tuttora escluse dai vertici della vita sociale, economica e politica.
La presenza di donne dirigenti nelle imprese ristagna al 33%, mentre progredisce assai lentamente in campo politico; infatti appena il 23% dei parlamentari nazionali ed il 33% degli eurodeputati sono donne. Lo stesso dicasi quanto alla
presenza delle donne nei governi nazionali, che da alcuni anni viene regolarmente monitorata dalla Fondazione “Robert Schuman” per tutti i paesi dell'UE. Anche tra le organizzazioni dei lavoratori la presenza delle donne nei posti di responsabilità è ancora troppo debole (segregazione verticale) nonostante sia in crescita l'affiliazione delle donne ai sindacati di tutta Europa.
Il
Rapporto dell'Organizzazione mondiale del lavoro (OIL) 2008 sulle tendenze del lavoro delle donne nel mondo, pubblicato in occasione della Giornata internazionale della donna, mostra chiaramente come i progressi che pure si sono realizzati in questi ultimi anni hanno ridotto in maniera ancora insufficiente le disparità tra uomini e donne.
La differenza media di retribuzione tra uomini e donne, ad esempio, si è stabilmente assestata sul 14-15% dal 2003 e la maggior parte delle donne recentemente affacciatesi sul mercato del lavoro sono entrate in settori e professioni dove si riscontrava già una forte presenza femminile (segregazione orizzontale).
In Italia, purtroppo, nonostante i “vicini” lumi della Rivoluzione francese, con cui emersero i principi e gli ideali di “libertà”, “uguaglianza” e “fratellanza”; nonostante la Rivoluzione Industriale dell’800, che disintegrava l’ordine pre-costituito, ridistribuendo i ruoli tradizionalmente affidati ai due generi, per ovvie necessità materiali ed organizzative; nonostante il superamento del pensiero determinista (per cui tutto era determinato da fattori naturali, perciò immodificabile, nell’universo); nonostante dal 1948 la nostra Carta Costituzionale sancisca: all’art. 3, il principio di eguaglianza formale e sostanziale tra tutti i cittadini (anche donne); all’art. 4, il diritto al lavoro a tutti i cittadini perché concorrano al progresso materiale o spirituale della società; all’art. 13, l’inviolabilità della libertà personale; all’art. 29, l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi; all’art. 37, la parità di diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni ai lavoratori e alle donne lavoratrici; all’art. 49, il diritto di tutti i cittadini di associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale; all’art. 51, il diritto dei cittadini dell’uno e dell’altro sesso di accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza; ciononostante, non si riesce a ridurre l’incommensurabile ritardo accumulato rispetto ai paesi europei. E il ritardo persiste a dispetto delle buone e tante norme varate in tema di parità, che altri paesi ci invidiano. Valgano per tutte, ad esempio, la L. n° 7/63, che sancisce il divieto di licenziamento per motivi di matrimonio; la L. 903/77, che sancisce la parità tra gli uomini e le donne; la Legge n° 125/91, in tema di parità tra l’uomo e la donna nel mondo del lavoro; la legge sull’imprenditoria femminile, L. n° 215/92; cosi come la normativa in tema di sostegno alla maternità e alla paternità per il diritto alla cura e per il coordinamento dei tempi delle città, che ha lo scopo di favorire la “conciliazione dei tempi” di cura, assistenza, lavoro e formazione, L. n° 53/2000; nonché la normativa di cui al D.Lgs. n° 196/2000, istitutiva della figura della consigliera di parità; ovvero il Codice delle Pari Opportunità, contenuto nel D. Lgs. N° 198/2006, con cui si raccoglie l’intera normativa sulle PO.OO. e si stabilisce il c.d. principio di “inversione dell’onere della prova” nei giudizi intentati dalle lavoratrici che denuncino atti discriminatori del proprio datore di lavoro. I fattori condizionanti il nostro enorme ritardo possono così sintetizzarsi:
o discriminazioni nell'istruzione e nella formazione professionale;
o condizioni di lavoro poco flessibili;
o mancanza di accesso alle risorse;
o distribuzione ineguale delle mansioni all'interno della famiglia;
o difficoltà nella conciliazione dei tempi;
o mancanza o insufficienza di servizi come l’assistenza all'infanzia;
o poca promozione da parte di aziende e Stato delle leggi che difendono i diritti delle donne sul lavoro;
o Mobbing
Tant’è che il Commissario alle Pari Opportunità Vladimír Špidla, in occasione della presentazione del Rapporto 2008 sulle P.O. ha dichiarato: " le sfide in atto, come il divario retributivo, la segregazione del mercato del lavoro, e il bilanciamento tra lavoro e vita privata ricordano che abbiamo ancora della strada da fare per rendere 'migliori' quei posti di lavoro. Nel complesso, nonostante la loro migliore istruzione, le carriere femminili sono più brevi, più lente e meno retribuite: è chiaro che abbiamo bisogno di fare di più per sfruttare appieno il potenziale produttivo della forza lavoro. "
E la politica resta a guardare…
Sarebbero molti i brillanti esempi di donne italiane che, da sole, hanno varcato la soglia del c.d. glass ceiling, anche nella carriera politica, in tempi -direi- non sospetti, ma che hanno accompagnato i movimenti di emancipazione femminile, rimanendo dei simboli eccellenti per tutte: Nilde Iotti, prima Presidente della Camera dei Deputati per ben tre legislature; Tina Anselmi, prima Presidente della Commissione di inchiesta sulla Loggia P2 e prima ministra italiana; la sindaca di una metropoli complessa come Napoli, Rosa Iervolino Russo; Emma Marcegaglia, prima Presidente donna di Confindustria; Concita De Gregori, Direttrice dell’Unità, ma ne potremmo citare ancora molte altre nel mondo). Tuttavia, il dato attuale ci fotografa al 17° posto nel mondo, per numero di donne cui sono affidati incarichi di governo (attualmente sono 4 le ministre italiane, di cui solo due con portafoglio); al 13° posto, per presenze femminili in Parlamento, di cui una buona parte non ha alcuna esperienza politica precedente. Siamo dietro anche alla Spagna, che ci supera pure per quel che riguarda la componente femminile nel governo: dei 17 ministri di Zapatero, ben 9 sono donne. Mentre, in Italia, si registra un incremento di donne sindaco e consigliere comunali, soprattutto nei comuni più piccoli; segno evidente che il rapporto delle donne con il territorio è maggiormente apprezzato in realtà in cui vi è confronto quotidiano con le cittadine e i cittadini.
Ovviamente, non in tutte le Regioni italiane si registra lo stesso rapporto tra le donne e la sfera pubblica. Sono stati individuati tre diversi contesti storico-sociali riferibili -per convenzione- a tre macro-aree così descritte: a) regioni del Nord-Est, a cultura politica bianca, prevalentemente cattolica, caratterizzate da elevato senso delle Istituzioni, da senso di responsabilità per l’efficienza della Pubblica Amministrazione e da una spiccata tendenza all’associazionismo, contesto preferenziale in cui le donne tendono ad aggregarsi; b) regioni del Centro Italia (modello Emilia Romagna), di cultura politica rossa, in cui è centrale la frattura capitale/lavoro, unita dalla Resistenza antifascista, prevalentemente ispirate a una visione socialista e municipale della società, in cui è lasciato allo Stato un ampio e decisivo potere di intervento, vuoi nell’economia, vuoi nel sociale, dove le donne sono ispirate da una tradizione sostanzialmente laica che le ha permesso di accedere prima e con maggiore convinzione ai luoghi di gestione della cosa pubblica, di cui è notevole il rendimento istituzionale; c) regioni del Mezzogiorno d’Italia (questione meridionale/Calabria), che ha vissuto l’egemonia politica della Democrazia Cristiana fino all’era Tangentopoli, caratterizzate da una capillare diffusione della criminalità organizzata, da un accentuato sistema clientelare/familista e, conseguentemente, da un bassissimo rendimento delle istituzioni. In tale contesto, sebbene le donne calabresi siano state definite da Morin, nel lontano 1963, “agenti segreti della modernizzazione”, non vi è stata una grande cultura associazionistica, pertanto rimane ancora troppo scarsa la presenza di donne meridionali nei partiti e nei luoghi di decisione.
Bisogna dunque assolutamente ridurre il notevole “gender gap” ancora esistente tra le due metà del cielo italiano.
L'eliminazione degli stereotipi è essenziale per la promozione della parità tra donne e uomini, perché essi continuano a influenzare drammaticamente le scelte di istruzione, formazione o di occupazione, la partecipazione ai compiti domestici e familiari, e di rappresentanza nei posti di lavoro e nelle posizioni di vertice. Solo un costante ricorso ad azioni positive potrà contribuire a creare le condizioni per un futuro di equidistanza ed equilibrio nella rappresentazione e nella rappresentanza di genere perché il mondo diventi realmente plurale e democratico.
In Italia, il
Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva comunitaria 2006/54/CE, concernente l'attuazione del principio delle pari opportunità fra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego. Con questo decreto si introducono anche nel nostro paese molte novità nel codice delle pari opportunità. Ad esempio: il principio generale del "mainstreaming di genere", che obbliga a tener conto dell'obiettivo della parità tra uomini e donne in tutti gli atti legislativi e amministrativi; si ampliano le nozioni di discriminazione, rendendo più forti e omogenee le tutele, s'include la discriminazione legata al cambiamento di sesso, si vieta di discriminare attraverso i criteri di selezione e nelle condizioni di assunzione, si vietano trattamenti economici differenziati a parità di lavoro (secondo il concetto di lavoro di pari valore, non più di stesso lavoro), si vietano discriminazioni in caso di licenziamento e di sospensione temporanea, si assicura il diritto di beneficiare, dopo la maternità obbligatoria e dopo i congedi parentali, degli eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che sarebbero spettati alla lavoratrice o al lavoratore durante il periodo di assenza.
Nella stessa direzione sembra volere andare il Comune di Napoli, con la elaborazione del Piano Strategico per le Pari Opportunità 2008-2010, con cui si mira a costruire una strategia di interventi integrati con priorità ed azioni specifiche, sostenibili e funzionali al perseguimento degli obiettivi di pari opportunità per tutti (posto che il limite riscontrato nel Codice delle Pari Opportunità del 2006 è stato il suo esclusivo riferimento a questioni attinenti la dimensione femminile).
Questo tema -è evidente- presenta altresì una forte dimensione internazionale in termini di lotta contro la povertà, di accesso all'istruzione e ai servizi sanitari, di partecipazione all’economia e al processo decisionale, nonché di diritti delle donne in quanto diritti dell'uomo; uomo in quanto “persona”.
Non a caso la normativa europea è stata costante e severa nel sollecitare gli Stati membri ad adeguarvisi:
Nel 1948 la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo ha proclamato solennemente il principio dell'uguaglianza.
Con questa dichiarazione, le Nazioni Unite hanno avviato un processo che ha riaffermato e definito i diritti delle donne in molti testi internazionali. In particolare:
- la Dichiarazione di Vienna del 1993, afferma che i diritti delle donne sono parte integrante e indivisibile dei diritti dell'uomo.
- la piattaforma di Pechino del 1995 conferma con forza, che i diritti delle donne fanno parte dei diritti universali e che qualunque discriminazione fondata su religione, cultura o tradizione non può essere giustificata.
- Il Trattato di Amsterdam del 1997, che stabilisce l’impegno della Comunità Europea in termini di mainstreaming della dimensione di genere, ossia l’integrazione delle pari opportunità in tutte le politiche comunitarie e nelle azioni positive;
- La Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea - Carta di Nizza del 2000, che ribadisce l’importanza della parità di diritti e di opportunità tra uomini e donne.
Nonostante tutto ciò, questi principi vengono violati e calpestati quotidianamente in tante parti del mondo, dove le donne vivono ancora in condizioni inaccettabili.
Le italiane, intanto, vuoi per un retro-pensiero pregiudiziale e trasversale in loro stesse ancora vivido, vuoi altresì per la dimensione spazio/tempo dell’intero sistema, organizzata secondo le esigenze e i ritmi tipicamente maschili, non si avventurano facilmente nel mondo della politica.
La profezia si auto-avvera!
Le donne in primis, giunte in posizioni di vertice, spesso costituenti il mero “sostegno” ad una posizione di leadership maschile, ovvero fautrici di una distorta cultura paritaria che le vorrebbe uguali agli uomini, tendono facilmente a costituire un’ “oligarchia” che introietta il pensare e l’agire maschile; pertanto, come gli uomini, si auto-conservano e non esercitano attività di “mentoring” nel timore di dover concorrere con tutte le altre, spesso più preparate ed abili degli stessi uomini, così impedendo letteralmente il loro accesso a quel mondo e impedendo agli uomini di porsi anche soltanto il quesito se siano adeguatamente rappresentate le istanze di parità. Tutto sommato, gli conviene!
Peraltro, sono troppe le donne che -giunte agli apici- “snobbano” le questioni attinenti la scarsa rappresentazione del mondo femminile nei luoghi di decisione. Molte di esse, infatti, negano finanche che vi sia un deficit democratico nei confronti del loro mondo e, forti del risultato personale raggiunto, sovente frutto di una pregressa esperienza familiare nei luoghi verticistici della politica e/o dell’economia, non si curano di tutelare gli interessi delle donne che -a loro giudizio- chiedono di essere privilegiate a prescindere da una valutazione meritocratica delle loro capacità e in danno degli uomini. E’ verosimile che le stesse donne non riescano ad accettare “serenamente” di esser partite -loro sì- da una condizione di privilegio socio-economico e culturale che le ha rese “migliori” e/o semplicemente più “appetibili” in quel dato contesto storico e politico in cui si sono guadagnate una posizione “visibile”.
Perché questo back-ground culturale deviante e limitante non viene superato?
Il processo lungo e sofferto che ci ha condotte a questa (ancora solo formale) condizione di parità è frutto esclusivo dell’impegno culturale, sociale, politico di numerose donne che hanno dedicato la loro esistenza alla demolizione delle grandi barricate da sempre sollevate dagli uomini in tutti i luoghi di decisione, di cui molti di essi avrebbero preferito detenere il monopolio assoluto.
Quanto sia giovane il nostro sistema democratico è dimostrato dal fatto che lo stesso diritto di voto ci è stato riconosciuto soltanto da Ivanoe Bonomi con D.L.L. n. 23 del 1° febbraio 1945, su proposta di Togliatti e De Gasperi, grazie altresì al movimento delle “suffragette” operante già dal secolo precedente. La Costituzione Italiana garantiva sì l’uguaglianza formale fra i due sessi, ma di fatto restavano in vigore tutte le discriminazioni legali vigenti durante il periodo precedente, in particolare, quelle contenute nel Codice di Famiglia e nel Codice Penale. Per una minuzia l’indissolubilità del matrimonio non fu iscritta nella Costituzione stessa, grazie all’emendamento di un deputato. Poi, però, sopraggiunse la legge sul divorzio (1970), la riforma del diritto di famiglia (1975) e la legge sull’aborto (1978), a ridare dignità civile a questo nostro Paese.
Il retaggio storico di una cultura conservatrice, che nel meridione resta ancora fortemente maschilista, ha impedito che la nostra Costituzione, in vigore da ormai 60 anni, potesse trovare compiuta attuazione, salve le straordinarie esperienze sopra citate.
Orbene, il segretario nazionale del Partito Democratico, con una scelta coraggiosa, sebbene contrastata, e di grande civiltà, ha stabilito che in tutti gli organismi del partito fosse garantita la parità di genere, con la previsione di una presenza femminile della misura del 50%, nonché, ancora più incisivamente, imponendo il criterio dell’alternanza uomo/donna in lista e tra i capilista, almeno per la elezione delle assemblee costituenti del partito, com’è di fatto avvenuto alle elezioni primarie svoltesi nell’ottobre 2007. Peraltro, gli organismi del partito sono costituiti nel rispetto dell’equa presenza di donne ed uomini al loro inerno. Il passo indietro è stato fatto, opportunisticamente, proprio nella composizione delle liste dei candidati alle elezioni politiche 2008. Provo a dare una mia interpretazione delle motivazioni che hanno potuto determinare quell’arretramento.

Lo scioglimento prematuro delle Camere ha impedito al Governo di Centro-Sinistra di valutare compiutamente la Bozza Bianco e di giungere ad un accordo ampio e condiviso tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione per disciplinare una riforma dell’attuale sistema elettorale, che impostoci unilateralmente dal centro-destra, probabilmente, non è stato contrastato in maniera decisiva ed efficace dal centro-sinistra. Un sistema elettorale che ha reciso ancora più drasticamente il già flebile rapporto prima esistente tra partiti, istituzioni e società civile, costituendo -così- il più grave vulnus alla nostra democrazia dal periodo delle leggi fasciste ad oggi. Ciò si traduce nella persistente vigenza di un sistema elettorale a liste bloccate, per cui è tolta a noi elettori ogni possibilità di scelta libera e democratica relativamente ai rappresentanti da eleggere in Parlamento.
Non esiste vincolo di mandato dei parlamentari; questo è giustissimo perché, in base al criterio della rappresentatività effettiva, ciascun parlamentare dovrebbe agire nell’interesse della collettività tutta. Il paradosso, tuttavia, è ancora più grande: eliminando le preferenze non si dà più all’elettore la facoltà di giudicare l’operato del proprio rappresentante nelle sedi istituzionali, ovvero, non gli si lascia il sacrosanto diritto di non ri-eleggere colui che non è stato in grado di rappresentarlo correttamente ed efficacemente. In realtà, non si può concretizzare la pienezza del proprio diritto di voto, posto che sono i leader delle segreterie dei partiti a “nominare” i fortunati candidati “eleggibili”.
Prosegue dunque il paradosso che vede, a fronte di una maggioranza delle donne nel corpo elettorale, il 52%, una netta inferiorità della rappresentanza femminile nelle istituzioni. E' vero che tocca ai partiti candidare più donne, ma e' altrettanto vero che con le liste bloccate diventa determinante la casella occupata dalla candidata: più lontana e' dal vertice della lista, minori sono le chance di entrare nei palazzi della politica.
E pensare che in Italia si è proceduto alla revisione della Costituzione per garantire la piena parità tra le donne e gli uomini, nel 2003. L'obiettivo deve essere quello di dare piena attuazione all'articolo 51 della Costituzione. E quella della rappresentanza femminile nelle istituzioni e' una questione che deve trovare priorità non solo nelle aule parlamentari, ma anche nell'agenda di governo.
Il problema resta grave: e' un grave deficit di democrazia che va colmato con norme specifiche. Il tutto si traduce nella urgente necessità di avviare un serio processo di riforma elettorale in senso proporzionale, con la previsione per ciascuna lista di una soglia percentuale di candidature (ad esempio, il 60%) appartenenti allo stesso genere che non possa essere superata senza tradursi in una sicura discriminazione del genere sottorappresentato. A rafforzare tale previsione, potrebbe aggiungersi una norma che preveda un “premio” di finanziamento alle campagne elettorali delle formazioni politiche che contribuiscano ad attuare concretamente politiche di parità nel funzionamento interno ai partiti e, soprattutto, a dare pari visibilità alle proprie rappresentanti durante le campagne elettorali; oppure, una sanzione, per i casi di omissione totale o parziale, che contempli la decurtazione di una considerevole quota delle somme destinate al finanziamento dei partiti.
In ogni caso, lo Statuto del PD prevede che siano le primarie il sistema ordinario di selezione dei candidati alle principali cariche elettive, di partito ed istituzionali; pertanto, si auspica che, a legislazione vigente, tale meccanismo di selezione possa essere mutuato da tutti i partiti politici italiani e possa essere concretamente applicato, nonché abilmente organizzato, con efficaci e costanti campagne di comunicazione, attraverso cui i mass-media riescano finalmente a dare un contributo fattivo alle donne che vogliano partecipare in maniera seria e propositiva al processo di sviluppo socio-politico del Paese. Ciò, tuttavia, non ci garantirà automaticamente di raggiungere la quota del 50% di presenze effettive di donne in Parlamento, ma certamente le più capaci riuscirebbero a rappresentare i propri elettori, secondo un sistema meritocratico pieno, piuttosto che in base a una pratica di fidelizzazione! Auspico, infine, che il criterio della presenza equa tra generi e generazioni, e tra le differenti classi sociali, all’interno di ciascun luogo di elaborazione delle idee e delle azioni politiche del nostro partito trovi compiuto e spontaneo accoglimento nella disciplina dello Statuto Regionale, nonché negli Statuti degli Enti Locali e in ciascuna realtà istituzionale, accademica, amministrativa ed economica dell’intero Paese.

Ritengo che siano auspicabili e meritevoli tutte le iniziative volte a favorire una più compiuta attuazione dei sacrosanti principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale, e non esclusivamente di quelli legati al genere. L’ulteriore impegno che ci è naturalmente affidato, da mamme effettive o potenziali, è quello di avere cura, educare, infondere in chi ci ascolta i principi della libertà, della solidarietà, del rispetto reciproco, della pace, dell’uguaglianza. Se ci sforziamo affinché siano realizzati concretamente questi fondamenti costituzionali, riusciremo ad offrire alle generazioni future un sistema autenticamente democratico, basato sulla meritocrazia, sulla pari opportunità e sulla pari dignità sociale, politica, economica e culturale tra uomini e donne, sì, ma altresì tra giovani e anziani, e disabili, tra cattolici e laici, tra agiati e meno abbienti, tra cittadini europei ed extra-europei.

E la mia personalissima convinzione è che, nella misura in cui ogni principio di pari opportunità sopra citato trovi realizzazione sostanziale nella disciplina del nostro quotidiano, non vi sarà più la necessità di lottare in piazza per ottenere che le donne, naturali depositarie e custodi di valori eticamente sensibili, abbiano spazi ora riservati agli uomini; vi sarebbe “naturalmente” il nostro ingresso in ogni realtà operativa in cui la nostra espressione, il nostro contributo, il nostro valore aggiunto verrebbero percepiti come meritevoli di considerazione e di successo quanto lo sarebbero quelli di un uomo.

E’ il culto ghettizzante della categoria minoritaria da proteggere e da tutelare che non mi affascina.

Siamo qualitativamente diverse e, pertanto, complementari, necessarie, nella nostra diversità; costituiamo valore aggiunto.

Un uomo sommato ad un altro uomo, a mio parere, fa la forza di due uomini; l’uomo sommato ad una donna, invece, fa più di due unità messe insieme e fa, certamente, più democrazia!

Tuttavia, le donne, nonostante il loro grande valore, e pur dopo i grandi cambiamenti che la nostra società ha vissuto, subiscono violenze inaudite dall’altra metà del cielo.
E’ agghiacciante e disarmante il rapporto ISTAT 2006 sulla violenza alle donne che evidenzia come siano stimate in 6 milioni 743 mila le donne che tra i 16 e e i 70 anni restano vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita.
Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni a livello mondiale sono concordi: la violenza contro le donne è endemica, nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. E non conosce differenze sociali o culturali: le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi e a tutti i ceti economici. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, almeno una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. E, come si può verificare anche solo aprendo le pagine di cronaca dei quotidiani, il rischio maggiore sono i familiari, mariti e padri, seguiti a ruota dagli amici: vicini di casa, conoscenti stretti e colleghi di lavoro o di studio.
Il Consiglio d’Europa invita gli Stati membri e i loro cittadini a rafforzare l’impegno
contro la violenza nei confronti delle bambine e delle donne. Si stima infatti che una percentuale compresa tra il 20% e il 25% delle donne abbia subito violenze fisiche almeno una volta nella vita e che oltre il 10% abbia subito violenza sessuale.
Questa è la forma di violazione dei diritti umani più diffusa ed occulta e va assolutamente combattuta in ogni attimo e in ogni dove, con aspre sanzioni e con un piano di formazione permanente della collettività, degli uomini e delle donne, perché si recuperi la serenità di un confronto che diventi costruttivo, non più distruttivo, tra questi due mondi.
E’ necessario creare maggiori occasioni di elaborazione di proposte in tema di Pari Opportunità; i ruoli e i luoghi a ciò deputati esistono e, forse, ne sono anche troppi, ma pochissimi sono gli strumenti e le attività effettivamente valide ed efficaci finora portate a compimento; sarà che, forse, il sistema di selezione delle persone che costituiscono le commissioni, i comitati, e ogni altro strumento collettivo di tutela delle Pari Opportunità è inefficace? Cambiamolo!
Un brillante esempio di buona pratica applicata, invece, sembra essere stato il COF Caserta, allo stato non riproposto per carenza di fondi.
Dunque, è fondamentale allargare la rete di conoscenze con cui interagire sinergicamente e senza tregua, affinché si diffonda capillarmente l’amore per la cultura, per il confronto, per il sostegno e la solidarietà, per la cura, per la passione civile, per la DEMOCRAZIA! Trasformiamo i meccanismi di selezione delle persone che dovranno rappresentare le persone discriminate e non limitiamo le nostre argomentazioni al punto di vista femminile, ma prediligiamo l’ente famiglia e cerchiamo di capire dove sia avvenuta l’interruzione di flusso della comunicazione e sia andata perduta la solidarietà umana.

Pertanto, auspico che le sedi in cui dovrà perpetrarsi questo sano e prezioso scambio di identità, di culture, di valori, diversi e plurali, non diventino luogo di confine tra ciò che appartiene alle politiche femminili e ciò che in altre sedi diverrà monopolio delle decisioni politiche maschili. Mi auguro, piuttosto, che da un eventuale lavoro di gruppo al femminile vengano poste le basi per la realizzazione di programmi e di progetti ambiziosi e concreti, relativi alle politiche di cui abbisogna il nostro Paese tutto, vuoi relativamente alle politiche economiche, vuoi relativamente alle politiche ambientali, sociali e culturali, da porre successivamente all’attenzione del Parlamento, con il quale elaborare le scelte definitive da tradurre in progetti ed azioni concrete; così da rendere il nostro mondo -nei fatti- contendibile, competente e sostanzialmente eguale.



martedì 21 aprile 2009

L'umiltà precede la gloria

Il Partito Democratico, a differenza di quanto fosse nelle previsioni entusiastiche di un anno fa, è allo sbando; ancora di più lo è in Campania e in questa Provincia!
Ero tra i pessimisti, allora, ad evidenziare come già non vi fosse più specularità tra la platea degli elettori delle primarie e quella che sarebbe andata a votare alle urne per le politiche, com’è nei fatti avvenuto.
Il Partito Democratico è in crisi più di quanto lo sia la POLITICA, in questo Paese!
Non è mera questione di mancanza di fiducia degli elettori nei confronti delle c.d. “caste”, che pure conserva il suo incommensurabile peso.
Per noi democratici è molto di più! Sono state vanificate le ambizioni di allargare il processo di partecipazione democratica alla vita interna del partito seguendo la chimera del c.d. partito liquido, in cui personalmente non avevo mai creduto!
Un partito che non sia adeguatamente strutturato non può avere consapevolezza delle proprie dimensioni e della sfida che ha di fronte, per cui va a contendersi il governo del territorio senza previo adeguato contraddittorio con il proprio avversario. Non va così! Il partito non strutturato non può parlare al proprio elettorato; non abbiamo circoli territoriali organizzati a sufficienza; quelli che ci sono, tranne rare e virtuose eccezioni, operano poco e, talvolta, anche molto male, in danno! Il confronto sui temi che dovrebbero andare a riempire l’agenda politica democratica viene limitato ad una platea che di volta in volta viene selezionata al ribasso, proprio per evitare che vi sia la partecipazione estesa di chi potrebbe creare scompiglio e “minare” alcune …finte leadership: la leadership autentica non teme confronto alcuno!
Tutto molto precario e distruttivo! Ne abbiamo avuto la prova con il crollo del partito a tutti i livelli politici ed amministrativi.
Il voto non diventa automaticamente CONSENSO!
Il consenso, invece, è VOTO!
Se uno statista si differenzia da un politico per il fatto che il politico è in cerca di voti e ha un progetto finalizzato, semplicemente, alla vittoria delle elezioni, mentre lo statista ha a cuore, piuttosto, il futuro delle nuove generazioni, noi dobbiamo avere l’ambizione di formare una classe dirigente di potenziali statisti!
Dobbiamo educarci ad elaborare pensieri lunghi, concretamente realistici e finalizzati alla risoluzione di almeno poche grandi questioni.
Dobbiamo creare un nuovo concetto del “NOI” che sia scevro da ideologie anacronistiche!
Un “noi” democratico, riformista, laico, liberale.
Le dimissioni di Walter Veltroni, che pure è stato un buon segretario nella fase delle primarie, perché sembrava avere capacità di leadership e dava l’idea di bene incarnare la sintesi tra le varie esperienze storico-politiche che confluivano in questo grande nuovo partito (evitando di citare, poiché a tutti noti, i gravi danni commessi da Walter dalla stesura delle liste di candidati alle politiche in poi), sono da considerarsi un gesto inqualificabile, specie per il momento in cui sono avvenute, con alle porte le imminenti elezioni europee e – per tanti enti locali – anche le amministrative.
Il segretario dimissionario si è “scusato” con tutti noi, si è assunto la responsabilità tutta del fallimento storico di un grande nuovo partito senza tuttavia lasciar detto nulla sul perché del fallimento e sulla possibile via di uscita.
Da più parti si paventa il fantasma della scissione, ma ancora non sembrano maturi i tempi perché ciò avvenga, per cui, forse, c’è ancora speranza di proseguire sul percorso “unitario” (?) segnato dal progetto democratico delle primarie 2007, sebbene con un cambiamento di ritmo e di prospettiva anche politica, con Dario Franceschini (il male minore a cui non potevamo “resistere”) che ci condurrà al congresso del prossimo autunno!
Le possibili ragioni di questa non riuscita sintesi, ad oggi….
Non credo alla “favola” dell’inconciliabilità ideologica tra ex DS ed ex DL, onestamente!
Sin dalla sua nascita, il PD ha visto proliferare al suo interno e/o, meglio, ai suoi fianchi, una serie di associazioni e/o realtà collettive di vario tipo, ma tutte dichiaratesi finalizzate a potenziare, a rafforzare, il progetto stesso del partito democratico.
Nel linguaggio più diretto, definiamole componenti, correnti…(tabù) o come si preferisce.
Ci piacciano o no, le correnti ci sono e resteranno, e cresceranno, magari, non solo e non tanto perché espressioni di diverse ideologie degli ex di qualcosa (sono miste anch’esse, ormai); non tanto e non solo per evitare, quindi, di omologarsi tutti al pensiero “unico” e alla “ideologia” troppo omogeneizzante che voleva costituire la base del pensiero riformista, progressista, liberale e laico del PD, ma altrettanto, e di più, per lasciare alle varie leadership già operanti in ampi settori della società, della politica, dell’impresa, la possibilità di continuare ad attingere il proprio già maturato “consenso” e, conseguentemente, a coltivare il proprio terreno su cui -da sempre- si innestavano le ragioni stesse della propria leadership.
E’ un disvalore?
E’ un valore?
E’ un problema o una risorsa, per il partito, la frammentazione identitaria che, inevitabilmente, genera tale particolarismo?
Tutto è relativo, avrebbe detto il genio di Heinstein, e dipende da che punto di vista osservi la realtà.
Particolarismo, se tradotto positivamente, può costituire “pluralismo” di idee, di progetti, di risorse, di energie, di bacini elettorali differenti.
Frammentazione identitaria, se tradotta in valori “altri” e “differenti”, può costituire la base del più compiuto pensiero democratico, in cui far convivere differenti valori (tutti legittimi) e differenti possibilità di realizzazione di un medesimo scopo, nel rispetto del fondamentale principio costituzionale della laicità dello Stato; un nuovo UMANISMO LAICO (es. Legge sul fine vita)
Orbene, la cosa veramente vera, che non può negarsi, è che se si elabora un progetto, una strategia di azione politica ed amministrativa largamente condivisa, su grandi pochi temi, sarà ben più agevole far confluire le energie di chi crede in quel progetto nella medesima direzione, e poco conta se le differenti energie messe in campo proverranno da diverse componenti del partito.
Vi è di più: se le diverse componenti dello stesso partito riuscissero ad adottare diverse e differenti forme di dialogo con la collettività, attingendo ciascuna da un proprio bacino elettorale le risorse con cui elaborare l’agenda politica ed amministrativa, piuttosto che destinare le proprie energie allo smantellamento costante delle forze con cui concorrono a realizzare il medesimo risultato, o di mirare quotidianamente allo screditamento dei soggetti con cui pure si sta condividendo un percorso già accidentato, il partito democratico, o qualsiasi altro partito che voglia essere ambizioso e avere possibilità concrete di “governo” pieno ed efficace del territorio, sarebbe certamente un partito NUOVO!
Il “trasformismo” è di chi lo praticherà sempre e non vi saranno “regole” etiche e/o statutarie che ne argineranno il fenomeno!
Il vero ostacolo alla coesione politica risiede nell’incapacità di condividere un grande progetto e di far confluire le energie di tutti nella realizzazione del bene comune.
Se non si comprende innanzitutto che il fattore “B” ha realizzato, in Italia, una autentica rivoluzione culturale, in un percorso durato almeno 15 anni, anche grazie allo strumento pre-potente dei mass-media, su cui il centro-sinistra ha preferito “astenersi”, non riusciremo mai a proporre la nostra alternativa CULTURALE e non potremo mai costruire l’ identità democratica di un nuovo “NOI”!
Se è vero che l’umiltà precede la gloria, invito tutti noi a fare un grande sforzo di umiltà e a non perseverare nei nostri errori!